mercoledì 6 febbraio 2008

Chirurgia Conservativa




Negli anni ’70, dopo un periodo in cui la chirurgia della mammella aveva pensato di risolvere il controllo locale della malattia con un approccio sempre più aggressivo, come conseguenza di una migliore conoscenza della storia naturale della neoplasia, si è avuto un viraggio a 360° di tutta la strategia. Nel 1972, all’Istituto Nazionale Tumori di Milano, ho partecipato in prima persona, ad uno dei più importanti studi clinici controllati per tumori di piccole dimensioni, in cui si è confrontato il trattamento tradizionale (mastectomia radicale) con uno più conservativo, rispettoso dell’estetica, ma anche della radicalità oncologica (quadrantectomia + dissezione ascellare + radioterapia sulla mammella QU.A.RT.). A distanza di alcuni anni, i risultati, hanno confortato questa ipotesi di lavoro, confermando che non vi era alcuna differenza tra i due trattamenti riguardo la sopravvivenza globale, con una percentuale del 7% di recidive locali, che non influenzavano, d’altra parte la mortalità ( Trial Milano 1). Se il risultato oncologico era corretto, non altrettanto lo era quello cosmetico, dal momento che l’ampia exeresi mammaria non garantiva un risultato estetico soddisfacente, per cui ci siamo domandati se una chirurgia più rispettosa era altrettanto efficace.Per rispondere a questa esigenza, nel 1980 abbiamo disegnato un secondo studio ( Trial Milano 2), in cui si è confrontata la QU.A.RT., a questo punto diventata goal standard con un trattamento più ridotto a livello mammario ( tumorectomia + dissezione ascellare T.A.RT.). In considerazione della diminuzione della chirurgia mammaria la radioterapia è stata modificata associando un tempo di brachiterapia alla tradizionale radioterapia dall’esterno. Anche in questo secondo studio non abbiamo osservato differenze statisticamente significative ma solo un discreto aumento delle recidive locali. L’impianto concettuale della chirurgia conservativa, veniva confermato ma rimaneva da rispondere ad un ultima domanda: la quadrantectomia, intervento ampio e distrettuale doveva necessariamente essere associato alla radioterapia, oppure, era di per sè già oncologicamente corretta e sufficiente? Venne quindi programmato un ulteriore studio, in cui la QU.A.RT. fu confrontata con la stessa chirurgia senza radioterapia ( QU.AD.). Il risultato finale non si discostò dai precedenti per quanto riguardava la sopravvivenza globale, ma evidenziò un ulteriore aumento delle recidive locali. Una osservazione di vent’anni ha confermato questi dati. A termine di questo ciclo di studi clinici controllati, statisticamente corretti, siamo arrivati alla conclusione che per tumori monofocali di dimensioni non superiori ai 2.5 cm., il trattamento ottimale è la QU.A.RT., la cui effettuazione deve essere affidata a chirurghi esperti ed addestrati.



Roberto Saccozzi

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